Press Launch Honda CBR1000RR Fireblade my04

14 Febbraio 2021 Off Di Aldo Ballerini

Come funziona un lancio stampa? Cosa può succedere? Niente, ma con noi non si sa mai. Questa è la storia di quello della Fireblade – Phoenix, dicembre 2003.

Dicembre 2003: si parte per l’America. Siamo: io (Super WHEELS), Giovanni Di Pillo (Nuvolari), Antonio Vitillo (Motonline), Marco Selvetti (AGM), Alberto Raverdino (Superbike Italia), Maurizio Tanca (Moto HP), Maurizio Gissi (Tuttomoto), Cristiano Esclapon (Moto World), Mario Innamorati (La Moto); alla macchina fotografica Zep Gori. Manca il gatto, the cat, visto che andiamo in USA, Franco Rossi (In Moto), misteriosamente assente nonostante la prenotazione. Federico Aliverti, di Motociclismo, come al solito ha già provato la Fireblade un anno fa ed è in edicola da luglio con il my2006.

Il viaggio scorre via liscio grazie alla magnanimità di mamma Honda che ci ha preso la business. Penso che sia l’ultimo viaggio in business della storia del giornalismo: ora ti spediscono sui voli low cost, partenza da Pantelleria alle 4 di notte, tre scali e 36 ore per arrivare a Barcellona, e tante grazie se trovi il posto a sedere. Rientro nel pomeriggio appena sceso dalla moto, arrivo in Val D’Aosta tre giorni dopo con l’ultimo tratto in corriera da Crotone.

La business è bellissima perché puoi fare il figo facendo finta di telefonare (la telefonata vera costa e non ce la rimborsano), leggere The New York Time (le figure), vedere un film, mangiare decentemente, stendere le gambe e dormire come si deve. Se il viaggio continua così la nuova Honda va benissimo. La migliore. 

Di Pillo superstar 
Nelle telecronache DiPi è esplosivo, senza microfono di più. Sapete bene quanto siano rigidi gli americani in questi tempi (hanno appena preso Saddam). Ad Atlanta, dove prendiamo la coincidenza per Phoenix – e dove c’è il terrificante controllo passaporti – è vietato fumare e telefonare prima di aver fatto dogana. Vietato in America vuol dire vietato sul serio, mica come da noi: qua ci sono le telecamere, i cani, i satelliti, le microspie… basta che pensi alle sigarette e subito ti piomba addosso una squadra di incazzatissimi poliziotti superanabolizzati, che ti sbattono in terra a calci puntandoti un mitra in testa e dopo che ti hanno menato e scaricato il taser sulle tempie, forse, ti urlano i tuoi diritti. Questo è il trattamento di riguardo se non sei nero.  

Giovanni, invece, se ne passeggia bello tranquillo con la sua sigaretta telefonando a destra e a manca. Nessuno ha nulla da dire. Comunque, per sicurezza, al controllo passaporti, ci teniamo a distanza. Tre file almeno. Valà.

Il capitalismo
Arrivati a Phoenix ci scontriamo subito con il Capitalismo: per pigliare il carrellino delle valigie tocca investire ben tre dollari. E siccome il coso dei carrelli non ridà i soldi indietro né rilascia la ricevuta (per il rimborso), il carriolo non lo prende nessuno. Non è che noi giornalisti siamo attaccati al denaro: è il principio. Si chiama etica professionale. Tutti, quindi, ci trasciniamo le valigie a mano. Tutti meno il mitico Di Pillo, ovviamente, che ha requisito una carrozzella sulla quale ha prima appoggiato le borse e poi si è pure accomodato per riposarsi dalle fatiche del lungo viaggio in business. E ci è toccato pure spingerlo. 

Ai domiciliari al Golf Club
Non possiamo certo dire di aver visto Phoenix. Perché nei tre giorni di permanenza negli States siamo rimasti intrappolati tra il Luxurious  Golden Wigwam Resort & Golf Club Hotel Not Pizza and Figs , il centro commerciale Paradise Valley, e la pista Arizona Motorsport Park. Ecco quel poco che ho capito di qua. 

Fate conto che qui fino a ierlaltro c’erano il deserto e basta. Chiaro che con una tavola di mille chilometri quadrati a disposizione uno non si mette a disegnare il centro storico di Gubbio, ti viene più facile una roba geometrica, senza inutili ghirigori, saliscendi, piazze sghembe, piazzine, piazzette, stradine e insulsi vicoli ricamati. Lo fai pensando con il massimo raziocinio ai marciapiedi, ai parcheggi, alle strade dritte e larghe… Sacrosanto e più che ragionevole intento, ma qua in Arizona hanno esagerato. Per disegnare la mappa della città hanno preso un foglio del quaderno di matematica della quinta elementare e hanno messo sopra le casine, le chiesette, gli hotel, i centri commerciali: tutti dentro i quadretti in formazione perfetta. L’unico movimento creativo, che interrompe un po’ l’impressionante logica, è l’autostrada. Proprio quella che dovrebbe essere dritta, ogni tanto fa le curve. Boh.

Phoenix è disegnata su un quaderno a quadretti.

Qua ci si perde
Il risultato di tale omologazione è che la città è perfetta, ma anche identica per miglia e miglia. Tu vai sempre dritto per due ore e ti sembra di girare in tondo perché i paesaggi si ripetono continuamente, le villette, tutte uguali, si replicano all’infinito e si distinguono solo perché cambia l’auto parcheggiata dinnanzi al viale d’ingresso. A volte manco quella: qua sono tutti pick-up giganteschi. Dopo un po’ ti sembra di vedere pure le stesse persone.

Tutto è curatissimo. E fa quasi impressione camminare tra aranci, palme e prati verdi così impeccabili da sembrare finti. Soprattutto quando si pensa che tutto questo verde fiorisce in pieno deserto. L’acqua, sebbene non si sappia da dove arrivi, è pompata a manetta e alla mattina centinaia di valvoline pop-up spuntano come funghi tra l’incredibile verde dei prati. Se vedi dieci centimetri di verde sicuro c’è una valvolina innaffiatrice nascosta. Senza impianto d’irrigazione le aiuole sono desolatamente arse; in tal caso un po’ di vegetazione si può sempre coltivare, a patto di scegliere tra le splendide piante grasse che popolano le zone desertiche fuori città. Sennò prendi le piante di plastica. 

Americani brava gente 
Abbiamo viaggiato in business e siamo alloggiati nel Five Stars de Luxe Embarrassing Splendour Golden Wigwam Resort & Golf Club, ma poi la Honda (nella persona di Carlo E. Sabbatini) per rifarsi della spesa ha deciso di fare economia nella cena e ci ha offerto un cheeseburger, patatine, una birra e un calcio nel sedere. Vabbé, vuol dire che staremo a dieta, abbiamo pensato. Dieta per modo di dire: l’hamburger sarà stato almeno sei dei nostri, contornato da un chilo di patatine a testa. 
Come si chiamano quelli di Phoenix? Phoenixesi? Phoenixiani? Tipo marziani.

In the picciar: me and Marc are not very happy of the american purpets.  

Le phoenixiane sono tettone
Al bar del nostro resort Five Stars Exaggerated Splendour de Luxe eccetera ci sono numerose coppie del luogo. Le donne sono alticce, non solo nel senso che hanno preso l’aperitivo, ma sono proprio alte. Indossano luccicanti vestiti da sera e sono accompagnate da potenti cowboy con spalle quadrate e braccia del tipo non-ti-conviene-fare-il-furbo-con-la-mia-morosa e tanto di cappello modello John Wayne. 

Thanks God I’m a country boy 
Fanno tenerezza questi ragazzi, che passano il sabato sera al bar di un sintetico golf club, senza musica, senza balli, senza nulla. Mi piacciono. Si vede che è brava gente di campagna, persone semplici, magari benestanti ma abituati a lavorare. Le donne hanno tutte le tettone, sono così diffuse che pensi quanto dev’esser buona l’aria qua in the country. Poi alle undici si sbaracca e via, tutti a letto. Questi yankee sono ancora più simpatici.

Si nasce pasce e cresce tutto nella stessa aiuola 
È facile vedere l’alba da queste parti. Arriva verso le sette e venti e quindi non occorre nemmeno fare gli eroi. Alle sette esco dal Golf Club per fare un giro tra le palme e i viali con gli aranci decorativi e scopro questo posto perfetto e inquietante. Qui passi la vita in un’aiuola, tra l’altro pure posticcia: nasci, cresci, lavori, vai in chiesa, ti sposi, ti diverti e alla fine, da pensionato, giochi a golf. Tutto nella stessa aiuola. Qua le aiuole sono di trenta ettari l’una, ma aiuole restano. 

Qui passi la vita in un’aiuola.

Di buono c’è un’atmosfera rassicurante. Le vecchine che portano a spasso i cagnolini sorridono e mi salutano felici, qualche stacanovista del golf inizia la sua giornata di buche e relax. Stai a vedere che mi abituo a stare su un’aiuola. 

Il liscio texano
Ho con me la radiolina, mi piace portarla in viaggio perché così scopro altre cose dei posti che visito. Qui, per esempio, va alla grande il country melodico, ascoltano John Denver tutti i giorni da settant’anni, country road, take me home…, con la faccia di chi lo sente per la prima volta. Idem Hotel California, teoootottotteototteooo (assolo di chitarra). Come se noi ascoltassimo Toto Cutugno ininterrottamente dall’83. 

Ma la stazione fantastica è Radio Campesino, la Radio del Contadino. Parlano spagnolo e mettono su il Tex Mex, la prima volta che l’ho sentito non ci credevo: la musica è quella, identica spiccicata, dei nostri valzer romagnoli, con la fisarmonica che fa la risata, lo zum-pà-pà e tutto il resto, ma i testi sono in spagnolo. Tipo:  
Siento la nostalgia del pasado,
donde mi mamá yo he dejado,
no podré olvidar casita mia, 
en esta noche de estrellas 
mi serenata, yo canto para ti
(zum zum).

Il Tex Mex: uno spettacolo!

La dura vita del giornalista
I giornalisti di moto non capiscono niente di moto e sono pagati dalla case per parlare bene delle moto. Si sa. Aggiungiamo che siamo anche maestri nello scroccare viaggi, soggiorni, lauti pasti, regali e divertimenti vari.   

Per estorcere qualcosa di godereccio alla Honda (nella persona di Carlo E. Sabbatini) abbiamo cominciato a dire che se non succedeva qualcosa di bello questa CBR poteva avere dei problemi all’avantreno. Qualcosa di bello poteva essere, per esempio, un giro sul Grand Canyon, ma molto richiesta era anche una giornata al centro commerciale Paradise Valley, che già il nome promette bene. Per convincere la Honda (nella persona di Carlo E. Sabbatini) a prendere una decisione, Di Pillo ha  addebitato nel suo conto 172 cappuccini. E così, a metà mattina la Honda (sempre nella persona di Carlo E. Sabbatini), ha ordinato una cabrio con autista femmina bella (per Di Pillo) e un furgone (per noialtri). Quindi oggi: tutti al centro commerciale

In the picciar: Joe Of Pillo in the spider with wonder woman driver. Passengers: Zep and Anthony Vitillo.

And Now: SHOPPING! 
Così siamo tutti quanti al paradiso dello shopping. Ad ammirare degli aggeggi che, una volta scoperti, ti chiedi com’è possibile che tu sia riuscito a sopravvivere senza fino a quel momento. Per esempio Zep si è incantato con il massaggiatore per il cervello, mentre DiPi ha requisito per tutto il pomeriggio una maxi poltrona massaggiatrice comprensiva di sgabello stimolatore per polpacci (ma si è astenuto dal fumare).  

Molto successo hanno anche avuto il Traduttore per cani (99$) che messo a mo’ di collare traduce, anche in italiano, ciò che Fido abbaia; la Rampa De Lux (189$ only) per far scendere Fido dalla station wagon senza farlo affaticare troppo (da noi come faranno i poveri cagnolini a scendere dalla Panda non si sa); un autentico Cameriere francese di vero legno (269$); un nostalgico Carretto del popcorn (699$); un ammiccante Tavolo con le gambe di donna (99$); un’indispensabile Zanzariera da spiaggia (69,95$), capienza dieci persone. Mi sfugge una cosa: cosa si fa in dieci schiacciati dentro una zanzariera al mare? 
Poi ci sono un’utilissima Scaletta antincendio (40$), come se le case prendessero fuoco ogni settimana; lo Zerbino per cani (35$) e il Mostriciattolo (12,99$) da mettere in fondo al tubo della grondaia, che si infila di dietro e l’acqua esce dalla bocca, così che questa si allontani dalle fondamenta della casa. Questo è utile.  

Ecco alcuni dei fantastici oggetti che puoi trovare in USA: l’ammiccante tavolo con le gambe; l’autentico cameriere francese di vero legno; il nostalgico carretto del pop-corn; l’indispensabile zanzariera da spiaggia; il traduttore dal cagnesco all’italiano; il simpatico mostro della grondaia.

Le scarpe nuove
Ovviamente prendiamo d’assalto i negozi di scarpe da ginnastica, come si diceva vent’anni fa: oggi ci sono le training, le walking, le outdoor, le running, le basketball, le lifestyle, le trekking, le anaccidentwhobreaksyou. Ma non c’è nulla di nuovo rispetto a quello che trovi in Italia. Costano anche come da noi. Di bellissimo però c’è che quando torni a casa a chi ti chiede “Belle! Dove le hai comprate?”, tu puoi rispondere Phoenix, IU-ES-EI, invece che al Mercatone di Bagnolo in Piano (RE). E poi, ovviamente, abbiamo saccheggiato pure i negozi di felpe, jeans, magliette, mutande, manco fossimo arrivati dalla giungla.

In the picciar: me and Marc are looking the biutuful american shoes of gymnastic. 

Siamo andati in gita con l’Hammer 
La giornata di ieri non era andata male ma la CBR, seppur migliorata all’avantreno, sembrava avere ancora qualche problemino ai freni. Forse con una bella gita nel canyon degli indiani sarebbe migliorata molto.
È così che la Honda (nella persona di Carlo E. Sabbatini) ci organizza una bella gita nel canyon degli indiani a cavallo di uno splendido Hummer. La Honda (nella persona di Carlo E. Sabbatini), porta quindi i bambini in gita nel canyon degli indiani e per di più ci fa guidare il mitico fuoristrada americano. La CBR comincia a diventare veramente una bella moto.

Si va in gita con l’Hummer nel canyon degli indiani.

L’Hummer è una cosa spaventosa ma spaventosamente facile da guidare. D’altra parte, abbiamo pensato, se l’hanno fatto guidare a noi giornalisti, significa che lo può portare anche un imbecille.
La posizione di guida è da auto sportiva, stai incastrato nel sedile, con il volante piccolo piccolo che però si muove con un dito, il servosterzo trasforma le ruote larghe un metro in quelle della Graziella; poi c’è il cambio automatico, facilissimo: avanti, indietro, basta. Ci vuole del genio per sbagliare. 

Infine c’è il ventiseicilindri di dodicimila pollici cubici e duemilacavalli, che al minimo trascina una corriera di traverso su una mulattiera infangata. È così facile che non dà nemmeno gusto: salite, discese, buche, dirupi, fango, acqua sassi. Tutto ciò all’Hummer fa un baffo. E sembra pure che la tua figura di pilota sia del tutto superflua. Sale, scende, gira, tutto da solo.
Abbiamo avuto il sospetto che fosse radiocomandato. 

In pratica l’Hummer va da solo.

Bellissimo, eh, ma non per noi italiani. Supponiamo che vuoi fare i bacini con la fidanzata, mica ci riesci. Lei è nascosta dietro la trasmissione, un cubo d’acciaio di un metro per un metro separa i sedili. Che senso ha prendere una macchina da rimorchio se poi la selvaggina trova riparo in un posto più sicuro del caveau della Banca d’Italia?

Via in pista!
Finalmente, il grande giorno: si va in pista. Tutte le volte sono teso. Mancavo da tempo a questi appuntamenti importanti, e comunque c’è sempre un po’ di apprensione, anche se questo lavoro si fa da anni.
Cadere? Non il terrore, ma l’idea c’è. Chiaro che l’imprevisto è sempre in agguato: mica siamo a un torneo di briscola. Poi ci sono le foto. Se non si guida in modo decente le immagini sono ridicole: a noi tocca metterci in posa; al fotografo cogliere l’attimo. E magari occorre anche capire qualcosa della moto, già che ci siamo. 

I primi giri non sono rilassanti: il tracciato si vede poco e il vento porta in traiettoria una discreta quantità di sabbia, che si solleva al passaggio delle moto. Con questi problemini al termine del primo turno non avevamo capito nulla di questa CBR.  

Al secondo turno le cose hanno iniziato a funzionare: la Fireblade si guidava un po’ come l’Hummer, con gli occhi chiusi, faceva tutto lei, io dovevo solo stare seduto, facile come un Ciao. Vedevo Zep in posizione di tiro, trattenevo il fiato per la foto e tutto scorreva liscio.  

Tra le pause DiPi si è messo a fare le impennate nel parcheggio con in testa il cappellino di babbo Natale. Allora ama proprio il rischio: fuma, telefona, ordina cappuccini, impenna senza casco…

Joe Of Pillo in the traditional Christmas wheeling.

Questo è stato il primo servizio del mio ritorno a Super WHEELS, dopo un periodo a In Moto; un anno dopo sono diventato direttore e l’ho portato avanti per altri 80 numeri, fino alla fine, febbraio 2011. Sempre io in copertina.

Il numero del ritorno, gennaio 2004 e l’ultimo, febbraio 2011.
Quella volta con noi c’era Nicky, un dispiacere immenso.